L'arroganza di sentirsi autorizzati a suggerire cosa qualcuno in una situazione cosi' delicata doveva o non doveva fare.
Meglio parlare di cose che si conoscono, no?
Nei primi anni della mia carriera mi arrabattavo per il quasi-miraggio di un lavoro dignitoso stando in Italia. Avevo un lavoro abbastanza dignitoso in un'agenzia di pubbliche relazioni, dove vigevano alcune semplici regole: a) gli uomini fanno i partner, le ragazze fanno le lavoranti; b) le donne non possono fare carriera perche' a un certo punto fanno figli; c) cambiare lavoro e' impossibile in virtu' di un tacito patto fra agenzie per cui se fai domanda da un'altra il giorno dopo lo sa il tuo capo e sono dolori.
A questo quadro soffocante si aggiungevano poi una serie di gioie contrattuali tipo contratti a progetto rinnovati di anno in anno, aumenti miseri, eccetera.
Un giorno me ne andro' lontana da qui e denuncero' tutto questo, mi dicevo, mentre lavoravo a testa bassa improgionata nel tailleur.
Sono passati dieci anni e solo adesso timidamente ho il coraggio di accennarlo su un blog che ha tre lettori in croce.
Negli stessi anni ho anche toccato con mano cosa significa raccomandazione, durante un colloquio surreale al Consiglio di amministrazione RAI, gentilmente
organizzatomi da esponenti della Lega (tu di' che sei simpatizzante'). Un'irregolarita' risoltasi per fortuna in un nulla di fatto, altrimenti oggi sarei un fantoccio leghista nel tg regionale. Ogni parola di quel colloquio era sbagliata e mi faceva ribrezzo. Ma non ho detto niente.
Ho poi sostenuto senza battere ciglio un orripilante colloquio al Corriere della Sera, in cui il caporedattore Esteri ha parlato per tutto il tempo di come fosse un lavoro poco adatto a una donna ('mia moglie sta a casa con i figli eheh') e di come ci fossero chance di rimanere dopo la sostituzione (si trattava di una sostituzione maternita') 'perche' la persona in questione sta avendo una gravidanza difficile, sa, non credo verra' reintegrata in questa redazione').
Situazioni in cui sono stata zitta, ho sorriso amara invece che rispondere a tono. Ho subito, insomma, senza avere il coraggio (?) di difendermi. Un giorno ho scritto un post su un sito specializzato, raccontando la mia esperienza al Corriere. Ero disoccupata e abbastanza disperata. Il giorno dopo ci ho ripensato e l'ho cancellato (unica volta in vita mia in cui ho ritirato qualcosa pubblicato in precedenza). Non sia mai che...
Metto un punto interrogativo perche' il coraggio, quando hai il potere contrattuale di una formica, sfiora l'incoscienza e l'irresponsabilita'. Quando sei all'inizio di una carriera - qualsiasi carriera- sei giovane, squattrinato e ricattabile. Fai di tutto per non bruciare ponti, che qualsiasi settore e' un villaggio dove le voci girano subito. 'Quella ha collaborato per anni e poi ha fatto causa per essere assunta' mi racconto' il corrispondente di una grande testata italiana a Bruxelles, dal quale ero andata a chiedere consigli, magari uno stage. 'Ma pensa un po' come si e' permessa. Adesso si' che l'abbiamo asssunta ma rimarra' alla redazione di Novi Ligure tutta la vita e ben le sta'. E io a ridacchiare con ruffiana complicita'. E a pensare che forse quella redattrice e' stata davvero scema, a denunciare il suo contratto irregolare.
Queste non sono storie di abusi a sfondo sessuale. L'unico - minimo, grottesco- episodio in tale sfera fu un pizzicotto sul culo da parte di un collega piu' anziano. In redazione. Davanti a tutti. Mentre discutevo di un pezzo col caporedattore. Una collega (donna) fu la prima a mettersi a ridacchiare scioccamente. Poi fioccarono battute. Nessuno prese la cosa sul serio e me ne convinsi anch'io, che non era il caso di fare scenate. Di certo non gli tirai uno schiaffo, come suggeriscono i predicatori del 'poteva denunciare prima'. Eppure io non sono mai stata una che subiva in silenzio, prima.
Sono storie che spero dimostrino quanto a volte sia difficilissimo parlare al momento di un sopruso, quanto confortante e liberatorio - e socialmente utile - poterlo fare dopo. Quando la denuncia puo' far uscire allo scoperto certi personaggi o semplicemente - come in questo caso - avere la forza di creare un dibattito. Globale, pubblico, importante. (E' vero, una parte di tutto cio' rende servizio a un giornalismo pettegolo, scandalistico e superficiale. Ma voglio credere che ci sia di piu').
Quando insomma la propria denuncia avra' comunque un peso e un impatto positivo su altre persone, senza strangolare chi la compie.
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