
Studiare e praticare giornalismo è l'ideale per il mondo di oggi. Non solo, nel migliore dei casi, ci si ritroverà a fare il mestiere più bello del mondo (ok, non sono imparziale e sono anche un tantino idealista, però lo dice anche la Palombelli). Anche nel caso non si riuscisse a sfondare, iniziare il proprio percorso lavorativo come giornalista crea la forma mentis più adatta ad affrontare la giungla del mercato lavorativo odierno.
Perché?
Innanzitutto, si impara ad essere flessibili: quando si fa il giornalista (freelance, è ovvio) gli orari non esistono, i pezzi preparati con cura certosina poi non vengono pubblicati (e di conseguenza nemmeno pagati), il caporedattore si esprime in toni veraci sulla qualità dei vostri articoli. Si è insomma sottoposti ad imprevisti e delusioni di ogni genere. Questo permette di accettare la vita nella sua imprevedibilità e di crearsi una certa corazza.
La flessibilità si applica poi ai contenuti: nel giornalismo in genere ci si deve abituare a scrivere di tutto, dalla festa della frittella ai risultati finanziari di una banca di investimenti. Questo è l'ideale in un mondo dove il posto fisso è scomparso (lo dice anche Monti che non va più di moda) e dove è importante sapersi riciclare.
Scrivere bene e saper comunicare, poi, è fondamentale. Che si debbano compilare dei rapporti, fare dei progetti o gestire una riunione, il modo in cui si scrive e si comunica è prima di tutto un biglietto da visita, e in seguito un modo per lavorare più efficacemente e creare relazioni più produttive con i colleghi.
Per scrivere bene bisogna avere l'abitudine alle idee chiare, altro punto a favore in un contesto lavorativo caotico.
Chi è attratto dal giornalismo è in genere curioso, il che, per la storia del doversi riciclare, aiuta a non storcere il naso né davanti alla festa della frittella né davanti ai risultati finanziari.
Chi è attratto dal giornalismo, infine, non ha grandi pretese sullo stipendio. Una qualità che fa comodo nella dura realtà dei contratti a progetto.
Per questo, la mia conclusione - supportata finora dai fatti - è che chi inizia giornalista non rimane disoccupato (anche se non sempre rimane giornalista). Alla peggio si ricicla nelle Pubbliche Relazioni, sempre ghiotte di poveri giornalistelli affamati, il cui indubbio talento non sarà difficile acquistare con qualche centinaio di euro in più.
Insomma, un consiglio spassionato: se Montanelli ti esalta, concediti il sogno, non rinunciare alla scuola di Giornalismo. Studiare giornalismo non è la via maestra per la disoccupazione, ma l'esatto contrario: una scuola di sopravvivenza che permette di non restare mai disoccupati.
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