Di questa nuvola di "fuffa" in cui lavorano PR e comunicatori fanno parte anche le loro controparti, i giornalisti. Mestiere nobile in origine, ambitissimo finché si studia sui libri, e ricco di ottimi esempi anche recenti, il giornalismo si sta avviando oggi verso l'auto-distruzione.
Mentre i reparti di comunicazione e pubbliche relazioni delle grandi aziende si ingrossano e fatturano milioni, le redazioni diventano scheletriche, vittime della pubblicità in picchiata e di interessi conflittuali. Nei giornali si assiste ad una polarizzazione fra i (pochi) privilegiati con contratti giornalistici a tempo indeterminato e lo sciame di collaboratori, per lo più giovanissimi, che battono le strade della cronaca senza sapere, o volontariamente ignorando, che uno su mille (e non sempre per merito) potrà poi scaldare una sedia in redazione.
La vittima principale (oltre a centinaia di validi giovani professionisti) è la qualità dell'informazione, già pesantemente intaccata nel nostro Paese da alcune strutture di potere sulle quali non occorre dilungarsi, perché ci sono già molti che lo fanno più efficacemente.
Meno tempo per verificare l'informazione, meno risorse da investire in inchieste e approfondimenti, significano una buona predisposizione verso i piatti precotti serviti con grande piacere dai Comunicatori: comunicati stampa, viaggi-merenda, studi e statistiche confezionati ad hoc, interviste con virgolettati concordati in partenza, false lettere al direttore...
Un ottimo esercizio, fatto ad esempio dagli studenti di un'università australiana, è quello di prendere una rivista, un giornale o un sito internet e smontare ogni articolo, ogni servizio fino all'origine, per capire che una percentuale molto piccola è farina del sacco della redazione. Gli studenti della University of Technology di Sydney hanno trovato che il 55% degli articoli sulla loro stampa nazionale è frutto delle attività di PR. Fermo restando che la colpa non è (sempre) dei singoli giornalisti.
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