venerdì 13 aprile 2018

Una specie di trasloco

Qualche tempo fa ho segnalato quanto le politiche di Google Blogger stessero ostacolando la mia esuberante voglia di scrivere, rendendo impossibile l'aggiornamento del blog da smartphone.

Ecco, dopo un periodo di astinenza forzata, sono corsa ai ripari e ho traslocato il blog verso un'altra piattaforma (indovina un po', Wordpress), che i consente di pubblicare i miei pensieri ovunque io sia, come e' giusto in una societa' multimediale e sempre connessa come la nostra.

Cosi' gia' un paio di post sono apparsi li'  non qui.

Mi rendo conto dalla confusione nella vasta platea di lettori di questo blog. Soprattutto, mi rendo conto della mia inadeguatezza tecnica a compiere la migrazione per bene, magari installando un re-direct.

Potrei arrivarci, tra qualche tempo. Nel frattempo, chi capitasse su queste pagine e si sentisse perduto, puo' trovare il blog e il suo seguito qui: https://framiche.wordpress.com/.

venerdì 9 marzo 2018

Quella scuola e' un po mixed

Ho gia' accennato che la ricerca di una scuola per Giulia si sta rivelando un'impresa di un certo spessore. Non tanto per la logistica - volendo, un paio di posti ce li siamo gia' assicurati - quanto per l'insieme di convinzioni filosofiche, politiche e sociali che questa cosa si porta con se'.

La scelta della scuola - un po' come la scelta del quartiere dove abitare -costringe a farsi delle domande, a sviscerare questioni scomode, depositate sotto la polvere del "non me ne voglio occupare adesso".

Succede che venga fuori - in toni ambigui -l'espressione "mixed school".

Quella scuola e' un po' mixed. 

Pausa.

I bravi genitori-di-sinistra-ma-non-troppo-perche'-abituati-al -liberalismo-eurocratico non sanno che tono usare.

Ovvero - ci sono bambini di diverse estrazioni sociali (che guarda un po' coincidono in modo tragicamente matematico con il colore della pelle).

Quello che si vorrebbe pensare (e in parte si pensa) e': bene! Sono contento che mio figlio abbia a che fare con persone di tutti i tipi, che impari a conoscere la societa'. Il mio compagno ha usato un'espressione bellissima "Questo e' il futuro, e' bene che lo respiri da subito".

Quello che anche si pensa e': "Mmmh -ma questo miscuglio sociale mica ritardera' l'apprendimento della classe? Mica si andra' piu' lenti perche' ci sono bambini che provengono da contesti sociali disagiati? Mica ci saranno questioni legate alla sicurezza, alla mentalita' [queste ultime lo giuro le ho pensate ma non riesco a trovarvi alcun fondamento razionale]?"

Tra l'altro, a ben vedere, sotto alla brillante etichetta "expat" siamo immigrati pure noi. E pure i nostri figli non sono madrelingua, per chi si preoccupasse della velocita' di apprendimento della classe mista.

Mentre ruminavo questi pensieri camminavo per i corridoi di questa famigerata scuola mista, dalle cui classi uscivano file ordinate di bambini, ognuno con il suo bravo cappellino di lana per l'intervallo in cortile, a coprire una testolina bianca o nera (ma diamine dovevo arrivare a quarant'anni per preoccuparmi di certe distinzioni??).

C'erano quelli che facevano merenda seduti ai tavolini -un biondino con i RayBan da vista rigirava la sua mela piu' e piu' volte, e proprio la voglia di mandarla giu' non la trovava. Di fianco a lui mangiava composta una bimba con le treccine, il cui abbigliamento pulito non tradiva alcun segnale di malessere.

Alla riunione si vedeva, che c'erano genitori - mon dieu -senza un master che magari facevano l'idraulico o la commessa. Mentre la preside presentava la scuola, l'idea di frequentare gente normale e magari far parte del consiglio dei genitori mi metteva di buon umore.

Di malumore invece mi mettono certe discussioni con altre madri piu' o meno ansiose (ci tengo a precisare che sono ansiosa anch'io, nonostante cerchi di dissimulare e razionalizzare). Esse stilano meticolose classifiche incrociando dati come l'architettura dell'edificio e il metodo pedagogico usato, oltre che ovviamente la dichiarazione dei redditi e i dati occupazionali dei genitori.

Ho scoperto che una mia amica e' invece una Montessori-fan, e mai mandera' la figlia in altro luogo che non sia sponsorizzato dalla celebre pedagoga italiana. La quale, se avesse avuto idea del fatturato che avrebbe generato in costosissime scuole per le super elite, forse avrebbe messo una postilla, un copyright al suo celebre metodo.

Come per la politica, in me domina in questo momento una studiata ignoranza. No, non mi sono informata su cosa voglia dire pedagogia attiva. Ne' sono andata oltre qualche riga sul metodo Montessori prima di concludere che mi pare una roba gonfiata e sopravvalutata.

In un mondo normale, le scuole fanno le scuole e i genitori non sono costretti a prendersi una laurea in educazione per scegliere. La vita e' anche, in parte, casualita', e se la scuola piu' vicina a casa in cui c'era posto e' quella, allora buttiamoci.

Scelta che parte da una comparazione compulsiva che sicuramente sara' solo l'inizio di un attento monitoraggio delle attivita' degli insegnanti, con la tentazione di sostituirsi a loro ogniqualvolta ci sia qualche intoppo.

Ecco se posso fare una scelta, voglio essere un genitore poco interventista. Certo che voglio il meglio per mia figlia, voglio che sia serena e che possa esprimersi e trovare un luogo - pulito e sicuro - dove realizzarsi a ogni eta'. Ma non voglio nemmeno che cresca in un mondo irreale ed edulcorato, in cui ogni passo e ogni interazione sia studiata e programmata a tavolino.

Nella mia vita ho avuto la fortuna di frequentare sia scuole d'eccellenza che normalissime scuole comunali. Ho saputo apprezzare pro e contro di ognuna, e non saprei davvero indicare altra soluzione che un percorso che comprenda un sano "mix" delle due.

Un approccio, appunto - mixed.




Volevo essere classe dirigente

Quando ero ventenne, sognavo di diventare "classe dirigente". Fino ad allora, avevo passato ogni singola mia estate a Capalbio, nota roccaforte della sinistra radical chic.
Maglioncino sulle spalle in piazzetta a Capalbio.
Questa la classe dirigente che sognavo.
(Nella foto: Pietro Grasso a Capalbio Libri 2012)

Ciabattare verso la spiaggia in pareo con Repubblica sotto braccio, abbronzatura tamarra e un lieve accento romano, ecco, per me questo era esser classe dirigente. Avere una casa nel centro storico di Capalbio, millantare un lavoro che avesse a che fare con la cultura e/o la politica. La politica culturale, ecco.

Avendo dalla mia una buona testa e una propensione a sgobbare per i miei obiettivi, ero fiduciosa che ce l'avrei fatta. Nel giro di un decennio o poco piu' sarei tornata a Capalbio con una prenotazione al migliore ristorante tra le mura del centro storico. E Repubblica non ce l'avrei solo avuta sotto braccio. Ci avrei proprio scritto.

Poi tante cose cambiano, tante cose si capiscono, tante cose evolvono. E insomma, non e' andata proprio cosi'.

La casa a Capalbio non ce l'abbiamo piu' perche' e' stata venduta per finanziare robe piu' urgenti.
E io non vivo in un attico a Roma, non prendo il the con i politici di sinistra e piu' che classe dirigente, mi definirei parte di una dignitosa ondata migratoria - una gioventu' adulta che come unico modo di lavorare onestamente senza strozzarsi ha scelto altri lidi. Una gioventu' che va in vacanza dove capita, dove porta il low cost, e quasi sempre porta all'estero comunque.

La fascia che piu' di altre pare abbia votato PD e Bonino. "Da lontano il PD sembra meglio", diceva un tweet ironico che pero' nascondeva un grosso fondo di verita'.

"La nostra societa' non siamo noi", ha commentato con amarezza la mia migliore amica (che vive in Italia) il giorno dopo le elezioni. Quella a cui ho sempre detto che faceva bene a studiare Medicina, perche' poi sarebbe diventata "classe dirigente". Neanche lei, penso, si sente classe dirigente.

Ed e' vero. Chi siamo noi? Non contiamo un tubo, e la pur buona volonta' di fare qualcosa, se non altro un contributo al dibattito pubblico, si infrange contro un muro di tweet velenosi e giornali infestati da troppa, troppa cronaca nera.

Ho finito per lavorare in un giornalismo arido, di nicchia, il piu' lontano possibile dalla politica e dai problemi della gente comune. Non so nemmeno cosa succede per strada, quando esco dal mio ufficio della Bolla.

Voto quindi stancamente, aggrappata ad un ideale insieme di valori "di sinistra" che forse e' un guscio vuoto, la solidarieta', la cultura, la tolleranza, l'inclusione sociale. Io che nel mio quotidiano ho la tendenza all'egoismo e all'intolleranza, e guardo ai partiti, alla "classe dirigente", come esempio da seguire, ideale da perseguire, per migliorarmi e per migliorare la societa'.

Ignoro i dettagli dei programmi, e non mi sono messa a confrontare promesse fatte e mantenute. Non sono andata oltre a generici riassunti sulla stampa generalista.

Mi sembra troppo complicato. Troppe variabili da tenere in conto per la mia mente abituata alla rassicurante tecnocrazia brussellese.

Contando tra l'altro su dei media - quelli italiani - che usano la lente di ingrandimento a loro piacimento e non sono capaci di restituire un'immagine fedele del dibattito, della realta'.

Voto e comunque sono lontana, altre sono le politiche che impattano la mia vita quotidiana, altri i contesti che davvero sono rilevanti per me, la mia famiglia e il nostro futuro. Non ho, per dire, un consigliere comunale di riferimento che possa dare un volto concreto ad argomentazioni teoriche.

Voto quindi aggrappata all'ideale di classe dirigente che mi ero fatta a Capalbio, sindacalisti con il sigaro e feste dell'Unita'. A Milano, bandiere della pace contro la guerra in Iraq. Foto in bianco e nero del Sessantotto. Dei comizi di Berlinguer. Immagini che mi piacciono, che mi rassicurano. Con Renzi "uno di noi", giovane, a dare una spolverata di modernita', di liberalismo, che insomma, la sinistra si deve rinnovare.

E' ancora la mia pancia che mi suggerisce repulsione verso il movimento cinque stelle, cosi' poco sexy. Un popolo di poveracci che rappresentano dei poveracci, che credono che la Rete li riscattera'. Insomma dove vuoi che vada in vacanza Di Maio? Mentre Grasso, invece, e' solidamente radicato nella sua bella casa proprio fra le mura di Capalbio  - dove spesso presenta libri e accoglie l'ameno pubblico in pareo di ritorno dalla spiaggia.

Un popolo - i grillini, i pentastellati, o come si chiamano - in cui rifiuto di identificarmi, coi quali rifiuto perfino di confrontarmi, e non so bene dire il perche'. Contro di loro c'e' tanta merda gratuita ma poche argomentazioni solide. "Sono populisti". Embe'? Qualcosa di piu' concreto?

Fanno paura alla classe dirigente, certo, cosi' mi spiego la costante campagna mediatica che li perseguita e che si aggrappa a qualsiasi cazzata - come un albero di Natale cittadino - per dimostrare la loro incapacita'.

Forse ho paura di scoprire che sono una poveraccia anche io, che vivo sul filo del rasoio di questo mercato del lavoro fluido e impietoso. Di queste spese in cui stare dentro, di reti di salvataggio che dove ci sono, sono comunque deboli.

Forse mi ripugnano perche' segnano il naufragio del mio sogno, loro che la classe dirigente la vogliono demolire. 

sabato 24 febbraio 2018

Breve storia triste

A inizio gennaio, ho scioccamente cliccato "ok" ad un'ambigua richiesta di aggiornamento sul mio iphone.

Il risultato e' che il suddetto ora va a velocita' di tartaruga.

La disdetta piu' grande e' che, dalle poche informazioni che sono riuscita a reperire, non supporta piu' l'applicazione blogger.

E quindi non scrivo piu', perche' il telefonino era l'unico mezzo che mi consentiva di scrivere con agilita' nei pochi momenti liberi -in tram la mattina o nel letto la sera.

E stamattina, che il sole splende, la bimba dorme e ho un PC davanti, non mi viene in mente niente da scrivere.

(Ma presto le cose potrebbero cambiare...)

giovedì 25 gennaio 2018

School

Stasera sedevo  su sedioline da bimbi insieme ad altri genitori tutti molto giusti e radical chic (adesso i radical chic sono hipster? boh), a sentire una presentazione sull'asilo bilingue dove c'e' pure lo yoga e il corso di cucina.

E' parte di un tortuoso percorso iniziato l'8 gennaio, per trovare una scuola adatta a Giulia e iscrivercela.

Mai avrei pensato che scegliere un asilo fosse una task del genere. Ai miei tempi l'asilo era quello comunale sotto casa e basta (ok poi non ci sono andata ma questo e' un altro discorso).

Oggi se non hai una laurea in scienze dell'educazione sei inadeguato a scegliere per il futuro di tuo figlio. Si parla di "pedagogia", "pedagogia attiva", stimoli psicomotori, laboratorio logico-matematico (a tre anni??). Ci sono info session dettagliate, che fanno sembrare i miei criteri di base - pulizia e sicurezza - una roba da povera provinciale.

E poi c'e' la disperata competizione per un posto. Eh gia', perche' se un asilo ti piace vuol dire che piace anche ad altri. Se e' pubblico devi assumere un esperto IT che ti spieghi come fare a prenotare online senza finire in fondo alla classifica, e un esperto di telecomunicazioni che ti aiuti a scardinare il centralino.

C'e' poi il velato razzismo (forse, a volte) che sentendo il tuo accento straniero ti sposta in giu', quando la cosa e' a discrezione del preside.

In ogni caso al preside devi piacere. Ho sentito consigli di "farsi veder ogni tanto", "farsi amiche le maestre" - roba di lobbying sofisticato che altro che i lavori della Bolla.

E comunque - che sia fare un refresh disperato sul sito del comune, che sia precipitarsi alle info session sulla pedagogia attiva, che sia sgomitare per una pre-iscrizione....c'e' sempre questo sottile senso combattivo di protezione del cucciolo, che tipo ammazzeresti qualcuno per garantire al tuo piccolo il meglio di una scuola Montessori.

Sei un professionista affermato, d'altronde, ora che ti sei riprodotto vuoi mettere ogni tuo singolo e remoto skill al servizio di questo piccolino.

In tutto cio' ci trovo in parte un tenerissimo istinto genitoriale -quasi selvaggio, biologico. Che pero' a volte si accompagna ad una pressione sociale malsana, che semina competizione dove non servirebbe, in un mondo in corsa impazzita con lo spettro della crisi economica.

Ecco sta iniziando un compito difficilissimo.


domenica 21 gennaio 2018

2018 inquietudini

E' partito con una certa (sana) inquietudine, questo 2018. Fra le brume dell'influenza - che ho gia' preso ben due volte - si e' fatta strada una voglia di guardarsi intorno e di fare il punto. Gia' a fine 2017 segnalavo alcune preoccupazioni tipo il mio tragico scollamento dalla societa', trincerata in una nicchia che quando mi cadono gli occhiali mi pare ridicola e priva di senso.

Si', a volte mi cadono gli occhiali che servono per vedere tutto nella giusta socialmente accettabile prospettiva, e si apre uno squarcio talvolta terrificante. Improvvisamente nulla ha piu' senso: gli orari, i contratti, le best practices di management. Uno si ferma e guarda tutto questo da un puntino molto lontano, e improvvisamente la sequela di storielle che uno si racconta per abbellire la propria epica personale non hanno piu' senso.

Sono momenti per certi versi esaltanti e pieni di energia. Per altri semplicemente terrificanti, perche' comportano l'abbandono temporaneo del nido tiepido e sicuro della quotidianita' per affacciarsi all'universo mondo. In genere li supero affrettandomi nella prossima task della to do list, tipo lavare i piatti o mettere in ordine la miriade di giochi sparsi sul tappeto.

Ci sono periodi pero' in cui i pensieri si fanno insistenti e gli occhiali cadono di continuo. Cosi' si fa strada l'idea che magari si puo' pensare di cambiare qualcosina, aggiustare un po' la trama di questa o quell'altra storiella, cambiare il percorso casa-lavoro, ogni tanto.

Forse e' l'interruzione della routine durante le vacanze, che ti fa mettere in discussione la routine al momento faticoso di riprenderla. E queste vacanze l'interruzione e' stata bella e buona, perche' ne avevo davvero bisogno e ho avuto pure la fortuna di dimenticare il cellulare in macchina, prima di partire.

Torno e mi sembra che il tempo "personale" sia ridicolo rispetto al tempo passato al lavoro. Soprattutto adesso che c'e' un altro esserino da crescere, esserino che cresce e progredisce insieme a gente tutto sommato estranea (e ad altri bimbi, il che e' un bene, ok).

Mi sembra che il lavoro che un genitore-lavoratore si trova davanti sia mostruoso, mostruosa la pressione a cui siamo sottoposti e a cui spesso ci sottoponiamo da soli (e su questo si puo' lavorare). Nulla mi sembra naturale, a partire dalla corsa affannosa del mattino fino alla corsa affannosa della sera, per recuperare Giulia il prima possibile, per passare un quarto d'ora in piu' con lei, quando il meglio delle nostre rispettive giornate se n'e' andato. Trovare equilibri, trovare equilibri. Ma poi succede una cazzata tipo un'influenza e gli equilibri saltano e siamo daccapo.

Ci siamo ritrovati davanti alla fondamentale scelta-scuola (che meriterebbe un post a se'). Che mi ha costretta a rivedere e verificare tutta una serie di convinzioni contraddizioni che tieni li' di solito sperando che nessuno te lo chieda.

Noi gente che portava la kefiah in assemblea d'istituto, noi gente che si professa superbamente "di sinistra". Ecco pero' storciamo il naso davanti a una scuola troppo "multietnica" e guardiamo verso le private con un sospiro di sollievo. Nel contempo, i belgi che non ci eravamo mai cagati per dieci anni ora si ribellano snobbandoci, dandoci l'impressione che noi non-belgi non siamo la priorita' nei loro preziosi asili e scuole. Dandoci la sgradevolissima sensazione che tra noi "expat" e gli "immigrati" marocchini non c'e poi tutta la differenza che crediamo.

In piu', c'e' la questione della lingua. E della cultura. La mia pancia si contorce all'idea che mia figlia studi in un sistema 100% belga, una cultura che non ci appartiene e con al quale non e' mai scattato alcun feeling, noi expat adagiati nella bolla. Cosa le insegneranno di storia, letteratura? Ci sara' un modo di affiancare qualcosa di un'Italia che nel contempo stiamo rifiutando anche noi, con diecimila sbuffi insofferenti ogni volta che ci abbiamo a che fare?

Un pentolone di problemi e interrogativi a cui non si puo' rispondere su due piedi, ma solo con una paziente ricerca quotidiana. Siamo qui per questo, e continuiamo a viaggiare.





mercoledì 13 dicembre 2017

Bandiere rosse

Ecco io mi sentivo cosi', un tempo. Adesso non so come mi sento.
(Luciano Ferrara Serie: g8 2001 ” Un altro mondo è possibile”)
Esco dall'ufficio e c'e' questa manifestazione con le bandiere rosse. Polizia piu' imponente del dovuto, come  solito. Non so di che si tratta e il mio primo istinto e' come al solito di sbuffare perche' hanno chiuso due entrate della metro. La mia seconda reazione e' come al solito, un vago senso di colpa.

Non so cosa succede, non so per cosa stanno manifestando e in generale non ho idea di cosa succede intorno a me. Passo la mia giornata immersa in notizie che viaggiano su un altro binario, un'altra dimensione. Scrivo di un'elite per un'elite. E se voglio occuparmi del resto non e' certo il mio lavoro che me lo richiede - anche se pur sempre da giornalista e'.

Certo mi informo, sulle robe globali, su cosa succede fra nord corea e stati uniti, sull'ambasciata a Gerusalemme e su cosa si dice dello scandalo weinstein. Uno sguardo alla home di un Corriere sempre piu' povero e marchettaro lo do sempre.

Ma del Paese in cui vivo non so praticamente niente. Non so chi sia il sindaco di Bruxelles, so che la ministra della salute e' obesa, mi dice qualcosa il nome Di Rupo. Mi interessano le news sugli scioperi e sul disagio neve. Non so quando siano le elezioni ne' quali siano le riforme principali in discussione al momento. 

E non so quali lotte sindacali fossero rappresentate oggi da quelle bandiere. Perche' dovrebbe interessarmi, a me che vivo in una bolla calda e comoda di buoni stipendi e diritti acquisiti? Le mie lotte sono per un bonus o una promozione - non per il posto di lavoro. Il precariato e' un ricordo sbiadito.

Poi torno a casa in metro e c'e' la gente. 'normale', fra cui tanta e sempre piu' povera gente. Una presentazione economica efficace ieri ha bucato per un attimo la bolla, ricordando ai presenti incravattati e profumati che la forbice sociale si allarga e i poveri sono sempre piu' poveri. 

Basta che continuiamo a fatturare, avranno pensato i professionisti dall'aria assorta. Che difendono giganti sempre piu' grossi di un'economia darwiniana e spesso disumana.

A volte mi colpisce come uno schiaffo in faccia la sostanziale futilita' attorno alla quale ruotano i ben pagati mestieri della Bolla, la cui importanza sta nel fatto che fanno girare tanti soldi. Soldi che starebbero meglio nelle tasche delle maestre di Giulia al nido, dei suo futuri professori, della signora delle pulizie che ci rende la casa abitabile.

Ma sono troppo sconnessa da tutto. Non so con chi condividere quest'angoscia che cresce e che tutti mettono da parte con la scusa di una routine quotidiana stressante.

Anche io ho una routine quotidiana stressante, che mi assorbe. Ma per quanto io abbia corso tutto il giorno, il tempo di farmi un paio di domande lo trovo sempre. E' il non trovare solidarieta', il non trovare un luogo comune per cercare delle risposte, che mi abbatte.

Quelle bandiere rosse sono lontane anni luce da me, e questo e' sbagliato. Profondamente sbagliato.